Una scoperta che sfida le teorie sulle origini USA, indicando connessioni con gli Egizi.
Una scoperta rivoluzionaria, basata su un articolo del Phoenix Gazette del 1909, potrebbe ridefinire la nostra comprensione della storia americana, continuando a catturare l’immaginazione degli appassionati di archeologia. Si tratta di un fatto documentato che ha suscitato grande stupore, ma anche l’incredulità di molti.
Durante un’esplorazione lungo il fiume Colorado, in una spensierata giornata priva di impegni, l’avventuriero G.E. Kincaid incappò in misteriosi segni incisi sulle pareti del Grand Canyon. Così, spinto a indagare ulteriormente su di essi, la sua curiosità lo portò a scoprire l’inaspettato ingresso di una grotta, situata a circa 600 metri sopra il livello del fiume.
Intrigato da essa, Kincaid decise di protrarsi nel percorso esplorando la caverna. Da lì a poco, si trovò di fronte ad una scalinata che conduceva a un tunnel apparentemente scavato a mano: un’impresa che tuttavia sembrava sfidare le capacità umane. Eppure, la remota presenza dell’uomo tra le mura di quella grotta si fece sempre più percepibile.
La sua esplorazione lo condusse in una stanza colma di mummie, ciascuna disposta su un proprio ripiano. Riconoscendo l’importanza della scoperta, che possedeva senz’altro un senso di autenticità storica, l’esploratore documentò il ritrovamento con appunti, fotografie e manufatti. Questi ultimi, in particolare, furono inviati alla Smithsonian Institution di Washington DC, la quale decise di finanziare una spedizione di scienziati per indagare più a fondo la grotta del Grand Canyon.
Gli archeologi scoprirono passaggi che si estendevano oltre l’area esplorata da Kincaid, inclusa una grande statua in pietra che rappresentava palesemente un Buddha. Oltre ad essa, anche diversi strumenti di rame, armi, tazze d’oro, ceramiche e iscrizioni geroglifiche. Tutti reperti che, d’altronde, suggeriscono che l’insediamento sotterraneo potrebbe avere origini orientali, forse addirittura antecedenti all’arrivo di Colombo in America.
La rivelazione, tuttavia, suscitò una diffusa incredulità. O forse sarebbe più corretto parlare di timore, un timore radicato nell’idea di scoprire una realtà profondamente diversa da quella a lungo accettata e tramandata. Nonostante l’importanza della scoperta attribuita a Kincaid, infatti, lo Smithsonian Institute negò qualsiasi coinvolgimento con essa, affermando che “nessun artefatto egiziano di alcun tipo è mai stato trovato in Nord o Sud America”.
La scoperta di Kincaid potrebbe trasformare radicalmente la nostra comprensione della storia, suggerendo un legame tra le civiltà egizie antiche e il continente americano, rivoluzionando le attuali credenze sulle origini culturali e storiche delle Americhe. Ciò solleva interrogativi fondamentali sull’effettiva storia dei cosiddetti nativi americani. È possibile che la narrazione accettata fino ad ora, che lega le origini del continente all’arrivo di Cristoforo Colombo, sia in realtà una versione incompleta o addirittura errata della verità storica?
La straordinaria diversità dei popoli del Sud America, con caratteristiche che vanno dai tratti europei e africani in Argentina, che evocano un’eco della Spagna, ai lineamenti che ricordano l’Asia in Perù e Cile, solleva interrogativi affascinanti sulla storia delle Americhe. Una varietà che lascia intuire che le teorie di antiche colonizzazioni egizie nel continente americano, lungi dall’essere mere fantasie, potrebbero avere un fondamento di verità.
La ferma negazione da parte dello Smithsonian Institute riguardo a tali connessioni, forse, può essere interpretata come un tentativo di negare qualsiasi possibile discendenza dagli Egizi. Potrebbe la verità essere stata soppressa, quindi, per preservare la narrativa storica tradizionale del Nord America?
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