Promethea: il Grimorio moderno di Alan Moore

Editoriale

Ottobre 5, 2024

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Ridefinire i confini del fumetto tramite una narrazione alchemica e visivamente pazzesca

“Come la linfa negli steli, il midollo nelle ossa, la metafisica è racchiusa nelle parole. Scrutando le parole «immaginazione» e «fantasia», si scoprono i presupposti metafisici e cosmologici della facoltà di proiettare immagini nella mente.”

-Elemire Zolla – Il ruolo dell’immaginazione-

Promethea: Proemio
Nell’introduzione del primo volume di Promethea edito del 2016 dai tipi della Vertigo Lion c’è una lunga esposizione sulle origini di Promethea scritta dalla mano di Moore:

“E così oggi Promethea si trova in un limbo, o se vogliamo addirittura nella Misty MagicLand, e le sue avventure non avvengono più davanti al pubblico. […] Possiamo solo sperare che il personaggio stia riposando in un angolo del regno delle fate o di Hy- Brasil e che in futuro ricompaia con un nuovo aspetto in una nuova e sorprendente evoluzione della sua storia enigmatica, un frammento autentico del folklore americano in azione, della poesia in movimento.”

Queste sono le ultime battute di Moore, ma da dove proviene questo misterioso personaggio?

Promethea è una delle ancelle della Fata Titania che, nell’arco di una decina di strofe del poema settecentesco “Un Amore di Fata” di Charlton Sennet, ne diventa la protagonista con la sua storia d’amore intensa e appassionata con un pastore mortale…
Promethea è una fata principessa, coprotagonista delle avventure di “Little Margie in Misty Magic Land”, striscia a fumetti scritta e disegnata da Margaret Taylor Case all’inizio del novecento.
Promethea è una feroce e sensuale regina guerriera, l’eroina di una serie di brevi romanzi fantastici che appaiono dal millenovecentoventiquattro nel mensile Astonishing Stories, scritti da Marto Neptura (pseudonimo utilizzato da una serie di scrittori) ed illustrati da Grace Brannagh.
Promethea è una supereroina che combatte il crimine nell’America degli anni quaranta, tornando occasionalmente nel suo regno extradimensionale di Hy-Brasil: appare in Smashing Comics, quindi in un albo tutto suo, scritto e disegnato prima da William Wolcott e infine da Steven Shelley (alla cui morte la serie viene sospesa).
Fin qui potrebbe sembrare che si tratti di coincidenze: stesso nome, alcune caratteristiche comuni, un caso nella storia della letteratura, ma così non è: lo scoprirà Sophie Bangs, studentessa che decide di scrivere un saggio su Promethea e, dopo essere andata a far visita alla moglie (Barbara) dell’ultimo scrittore della serie, aver subito un’aggressione e usufruito di un salvataggio all’ultimo istante utile, diventerà Promethea lei stessa.
Promethea, in origine, era una bambina vissuta ad Alessandria nel V secolo, figlia di uno studioso ermetico ucciso da una folla cristiana: venne salvata dagli dei del padre, trasportata nell’Immateria, il mondo dei sogni, della fantasia e del mito, e trasformata in storia.
In veste di storia è stata vista dall’immaginazione di uomini e donne, alcuni dei quali, posseduti da quest’idea vivente, l’hanno fatta arrivare dall’Immateria e sono divenuti Promethea anche fisicamente, o hanno fatto diventare tali le loro amate: la serva di Sennet, la Case, la Brannagh, la moglie di Shelley ed infine Sophie
Quest’ultima dovrà affrontare i suoi nemici, l’Esmè, il Tempio, il mago Jack Faust, Benny Solomon, e contemporaneamente cercare di scoprire qualcosa di più su quel che è diventata e capire come controllarlo.
E mentre imparerà ad essere Promethea visitando i luoghi generati da chi l’ha preceduta nell’Immateria e ripercorrendone la nascita, scoprirà il suo vero potere, l’immaginazione: rendere accessibile agli uomini il mondo dei sogni e delle idee.

 

Promethea: Un Viaggio attraverso la Magia dell’Immaginazione

Introduzione: L’Opera come Incantesimo

Secondo alcune teorie non accademiche il termine “immaginazione” ha come significato “In me mago agere”, ovvero, “in me agisce il mago” e Alan Moore sembra essere davvero “il mago delle parole”, ha sempre intessuto i suoi racconti di una profonda complessità simbolica, ma con Promethea, Moore ci consegna un’opera che trascende i confini del fumetto tradizionale, diventando un vero e proprio grimorio moderno. Disegnata con una maestria incantevole da J.H. Williams III, Promethea è molto più di una narrazione: è un’esperienza esoterica, un viaggio attraverso le dimensioni dell’immaginazione e della magia.

Promethea ci invita a riscoprire il potere dell’Immateria, quella forza sottile e nascosta che vive nelle storie, nei miti, nella nostra psiche collettiva. Non è solo un fumetto, ma un “libro di Magia” che insegna, evoca e trasforma.

L’Immateria: Il Potere dell’Immaginazione
Nel cuore di Promethea c’è l’idea che l’immaginazione non sia semplicemente una funzione della mente, ma una forza creativa, capace di dare forma al mondo e, in certi casi, persino di riscriverlo. Moore esplora l’idea dell’immaginazione come uno strumento magico, una chiave per accedere a mondi paralleli, a livelli di realtà che esistono al di là del nostro ordinario. Questa chiave è chiaramente influenzata dalla tradizione cabalistica, dove l’albero della vita rappresenta il percorso dell’anima attraverso le Sefirot, sfere di consapevolezza che collegano l’umano al divino. In Promethea, l’immaginazione è il mezzo attraverso cui i personaggi ascendono queste Sefirot, simboleggiando la progressione spirituale dalla materia grezza al divino.

La trama si sviluppa in un 1999 futuristico, ma intriso di un’estetica sinthwave e sinthpop che evoca le atmosfere della fantascienza degli anni ’80. Soph Banks, una giovane universitaria dei quartieri popolari di New York, scopre per “caso” la leggenda di Promethea mentre prepara una dissertazione per il corso di letteratura. La sua vita, già segnata dalle difficoltà quotidiane e dall’ambiguo rapporto con la madre prostituta, viene improvvisamente stravolta quando un antico potere magico si risveglia in lei. Soph è destinata a diventare la nuova incarnazione di Promethea, una figura mitica che incarna l’immaginazione collettiva, e lo scopre in modo drammatico durante un incontro fatale con un’Esme, un essere che cerca di ucciderla. Questo è solo l’inizio del suo viaggio iniziatico.

Promethea stessa non è solo un personaggio, ma un concetto, una manifestazione dell’immaginazione collettiva che si incarna attraverso chiunque riesca a entrare in contatto con la sua essenza. Come il processo alchemico della trasmutazione del piombo in oro, Promethea rappresenta la trasformazione dell’ordinario nell’eccezionale, dell’umano nel divino. In questo senso, Moore ci invita a riflettere sulla natura delle storie: non come mere finzioni, ma come realtà parallele, espressioni di una verità più profonda.

La Semiologia del Mito: Promethea come Simbolo Vivo
Per comprendere Promethea nella sua interezza, è essenziale analizzare il ruolo dei simboli e dei miti nella narrazione. Ogni pagina è intrisa di riferimenti esoterici, simboli archetipici e miti antichi. Moore e Williams III creano un ricco tessuto semiotico in cui ogni elemento visivo e narrativo ha un significato nascosto, un potere che risuona su più livelli.

Tra questi simboli, l’uso dei tarocchi, presente nell’ultima parte del primo libro, è prominente, con Promethea, i due serpenti del caduceo le raccontano il viaggio allegorico dell’umanità attraverso le immagini esoteriche dei tarocchi. L’ordine delle carte, e i loro significati esoterici, guidano il lettore attraverso un viaggio iniziatico, simile al pellegrinaggio spirituale che i personaggi stessi intraprendono. Soph, scoprendo che il potere di Promethea può essere evocato attraverso la poesia, si ritrova a svelare il legame tra la parola scritta e la magia, un concetto che riecheggia le antiche tradizioni cabalistiche e alchemiche.

Astrologicamente, Promethea è legata alla forza dei pianeti e delle stelle, con il suo viaggio che attraversa i pianeti che, secondo la tradizione esoterica, rappresentano gli archetipi delle virtù e dei vizi di ogni uomo. Esse non sono realtà esterne, ma realtà allegoriche, raffigurazioni ideali dello spirito umano. La narrazione segue un ritmo cosmico, riflettendo l’ordine naturale e l’interconnessione tra i microcosmi umani e i macrocosmi “celesti”. Questo termine va inteso secondo la tradizione esoterica: caelatum , cioè celato, nascosto.

Soph è trascinata in questa dimensione astrale quando deve affrontare i demoni inviati dal “Tempio”, una forza oscura che rappresenta gli ostacoli spirituali e materiali che ogni Promethea ha dovuto affrontare. Durante un concerto punk, Soph, con la sua nuova “vista magica”, è l’unica in grado di vedere questi demoni, che altro non sono che il lato oscuro dell’immaginazione l’illusione, che seminano il terrore e mettono alla prova i poteri latenti di Promethea, cioè la luce dell’immaginazione, mentre, Barbara, la vecchia Promethea viene gravemente ferita.

Promethea stessa incarna l’archetipo dell’eroina, ma anche della dea, della musa, del pensiero magico. È una figura che si trasforma e si adatta, riflettendo l’idea che i miti non sono statici, ma entità viventi, in costante evoluzione. In questo modo, Promethea diventa un’esplorazione semiotica del mito, della sua capacità di mutare e adattarsi ai tempi, pur mantenendo il suo nucleo esoterico. Soph, dovendo ora salvare la sua amica Stacia, è costretta a varcare la soglia della materia e ad entrare in Misty Magicland, una dimensione onirica dove risiedono gli archetipi, un regno dove la razionalità cede il passo all’intuizione e all’emotività. Misty Magicland rappresenta il viaggio nell’inconscio collettivo, un’odissea attraverso i simboli e le storie dell’umanità, dove Soph deve imparare a navigare senza essere sopraffatta dalle sue illusioni.

Per chi è a digiuno di certi concetti sull’inconscio collettivo: Carl Gustav Jung, psichiatra e psicanalista svizzero, sviluppò l’idea di un inconscio collettivo, distinto dall’inconscio personale. Questo inconscio collettivo è condiviso da tutti gli esseri umani ed è la fonte comune da cui derivano miti, fiabe e leggende, che presentano archetipi simili ovunque. Gli archetipi sono idee originarie, secondo la concezione platonica, che esistono fin dai tempi antichi e rappresentano immagini e simboli primordiali presenti in ogni cultura e individuo.

La Magia delle Storie: Costruire e Trasformare la Realtà
Una delle tematiche più potenti in Promethea è la concezione delle storie come atti magici. Moore vede la narrazione non solo come un mezzo per intrattenere, ma come una forma di magia, un modo per dare forma al mondo, per esplorare e trasmutare la realtà. Le storie sono incantesimi, costruzioni linguistiche che possono influenzare la mente e, attraverso essa, la realtà stessa.

Soph scopre che prima di lei sono esistite sei Promethea (vedi Proemio), ciascuna incarnazione riflettendo i valori e le credenze del proprio creatore e della propria epoca. Ogni Promethea è un frattale dell’immaginazione umana, una personalità distinta che emerge dalle profondità dell’inconscio collettivo, simile alle diverse fasi della Grande Opera alchemica: nigredo, albedo e rubedo. Il tumulto interiore vissuto dagli autori che hanno evocato Promethea è la forza che dà vita a questo archetipo, una forza che solo la passione bruciante può accendere. Le precedenti Promethea decidono di istruire Soph nelle leggi dell’Immateria, ciascuna trasmettendole una parte del proprio sapere, simile agli insegnamenti segreti che un alchimista impartirebbe al proprio apprendista.

Jack, un vecchio mago non schierato, entra in scena con un ruolo ambiguo, cercando di manipolare Soph con potenti suggestioni. Nonostante le sue intenzioni oscure, Jack diventa un maestro riluttante, introducendo Soph alla manipolazione dell’energia universale attraverso un’unione tantrica che svela i segreti della creazione e della trasmutazione. Questa esperienza rappresenta un passaggio cruciale nel percorso iniziatico di Soph, dove deve imparare a spogliare la realtà delle sue apparenze per riscoprire la magia nascosta nell’esistenza quotidiana.

Questo concetto si allinea con le pratiche magiche tradizionali, dove la parola è vista come un potente strumento creativo, capace di evocare, comandare e trasformare. In Promethea, le storie sono viste come veri e propri atti di creazione, dove l’immaginazione diventa il veicolo per esplorare l’infinito, per connettersi con il divino e per riscrivere le leggi della realtà.

Conclusione: Promethea come Libro di Magia
In ultima analisi, Promethea non è solo una storia; è un’esperienza iniziatica, un viaggio attraverso i mondi dell’immaginazione e della magia. Moore e Williams III ci invitano a riflettere sul potere delle storie, sulla natura del mito e sul ruolo dell’immaginazione come forza creativa. In un certo senso, leggendo Promethea, stiamo compiendo un atto magico, entrando in un mondo dove l’immateriale diventa tangibile, dove le idee si incarnano e dove la realtà è plasmata dalla nostra capacità di sognare.

Ogni lettore che si avventura in questo universo non può fare a meno di uscirne trasformato, consapevole del potere che risiede nell’immaginazione e nel racconto. Promethea ci ricorda che, alla fine, la magia è reale, e che vive nelle storie che raccontiamo e che ci raccontiamo.

Analisi Semiologica e Gestaltica delle Tavole di Promethea

Promethea si distingue nettamente da altre opere di Alan Moore, come Watchmen o V per Vendetta, per la sua composizione visiva e narrativa radicalmente libera e non lineare. Le tavole, in particolare quelle che esplorano il mondo magico, sfidano la linearità tradizionale del fumetto, offrendo una struttura che può essere letta in più direzioni, mantenendo invariato il risultato narrativo. Questo approccio ricorda i quadrati magici, dove la somma delle cifre risulta sempre uguale, indipendentemente dall’ordine in cui vengono lette, e rappresenta una pratica tipica di Moore, già presente in forme diverse in Watchmen.

Questa costruzione riflette una semiotica ricca di significati multipli, in cui ogni elemento visivo diventa un segno aperto a molteplici interpretazioni. Le tavole non sono semplici supporti per il racconto, ma vere e proprie superfici semiotiche dove significante e significato si intrecciano in un gioco complesso. Moore e il disegnatore J.H. Williams III sfruttano appieno la forma fumetto per sovvertire le aspettative del lettore, spingendolo a una lettura attiva e a una decodifica che va oltre la narrazione superficiale.

Alcune tavole, in particolare quelle del secondo volume, evocano visivamente i grimori e i manoscritti medievali e rinascimentali, in cui il disegno non è solo decorativo ma è parte integrante dell’arcano messaggio esoterico. Questi riferimenti iconografici non sono casuali, ma sono inseriti con l’intento di connettere l’opera con la tradizione alchemica e cabalistica. In questo contesto, ogni immagine diventa un simbolo, un archetipo junghiano che richiama gli strati più profondi dell’inconscio collettivo, con il disegno che si fa sempre più cristallino man mano che le protagoniste salgono sull’Albero Sephirotico, fino a perdersi nel bianco, simbolo della purezza e dell’illuminazione spirituale.

La struttura visiva delle tavole, che a tratti sembra richiamare lo stile di Gianni De Luca, si muove verso un continuum temporale dove i personaggi agiscono liberamente sulla pagina, superando la tradizionale suddivisione in vignette. Un esempio emblematico di questo è la sequenza in cui Barbara e Sophie entrano nella sfera Mercuriale dell’Albero Sephirotico: qui, lo spazio e il tempo si dilatano, trasformando la lettura in un’esperienza immersiva che richiama la visione cabalistica della realtà.

Dal punto di vista gestaltico, queste tavole utilizzano la figura e lo sfondo in modo dinamico, costringendo il lettore a riorganizzare costantemente le percezioni visive e cognitive. Il gioco tra figura e sfondo è amplificato dall’uso di colori vividi e psichedelici, che vanno dal rosa shocking al blu elettrico, accentuando l’irrazionalità e la dimensione onirica dell’opera. Questi colori non sono scelti solo per il loro impatto visivo, ma per la loro capacità di evocare emozioni profonde e di destabilizzare le certezze del lettore, catapultandolo in un universo dove i confini tra realtà e immaginazione si fanno labili.

La continua trasformazione dello stile di disegno lungo la narrazione, dal tratto iperrealistico a quello più espressionista o simbolico, riflette l’evoluzione interna del personaggio di Sophie e il suo viaggio attraverso i vari stadi dell’illuminazione magica. Questa metamorfosi stilistica funge da mappa visiva del suo percorso iniziatico, con ogni tavola che rappresenta un diverso aspetto della psiche e dell’inconscio collettivo.

La dualità tra cultura pop e cultura alta è costantemente bilanciata, con riferimenti che spaziano dai poster psichedelici degli anni ’60 e ’70 a citazioni visive che richiamano i grandi maestri dell’arte e del fumetto. Questa ricchezza di strati semantici può rendere la lettura impegnativa, richiedendo al lettore un’attenzione continua e una capacità di sintesi che supera il semplice godimento visivo.

L’opera ha inevitabilmente diviso critica e pubblico: alcuni la considerano un capolavoro in cui Moore e Williams III hanno raggiunto il massimo potenziale artistico e intellettuale, mentre altri la trovano eccessivamente complessa e difficile da seguire. Tuttavia, è proprio questa complessità, questa stratificazione di significati, che la pone in continuità con altre opere visionarie del fumetto e della narrazione visiva, come il Garage Ermetico di Moebius o L’Incal di Jodorowsky. Promethea non è solo un fumetto, ma un’esperienza estetica e intellettuale, che invita il lettore a superare i limiti del medium e a esplorare le profondità della propria immaginazione.

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