Massimo Ferraris: “Tradurre significa interpretare”

Editoriale

Novembre 4, 2024

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Il traduttore come mediatore culturale

Leggere i libri stranieri nella loro lingua originale è sicuramente un vantaggio, ma quando ciò non è possibile, occorre affidarsi a una buona traduzione. Un esperto in questo campo è Massimo Ferraris, grazie a cui negli ultimi anni possiamo riassaporare il gusto di libri divenuti capolavori nel tempo. La sua collaborazione con case editrici di spicco ha restituito al pubblico opere note e altre inedite in Italia. Per Elliot Edizioni ha curato le opere di Elizabeth Gaskell, Edith Wharton, Frances Trollope e tanti altri ancora, mentre per Castelvecchi Editore è sua la traduzione del Mephisto di Klaus Mann. Quello del traduttore è un lavoro affascinante e complesso, che porta a conoscere e ad approfondire altre culture e società.

Quando e come è iniziata la sua attività di traduttore?

È cominciata quasi per caso: nel corso di una lunga carriera, che mi ha portato a ricoprire vari incarichi a livello dirigenziale in ambito bancario e finanziario, non ho mai trascurato la mia grande passione per la lettura, preferibilmente in lingua originale. Nel 2019 ho potuto finalmente realizzare un sogno che accarezzavo da tempo, quello di diventare traduttore, grazie a Elliot Edizioni e alla sua direttrice editoriale, Loretta Santini, cui ho proposto di tradurre due opere inedite in italiano, Lizzie Leigh di Elizabeth Gaskell e Il romanzo della foresta di Ann Radcliffe. È così iniziata un’avventura che mi ha portato finora a pubblicare ventitré volumi con Elliot, spaziando dalla letteratura inglese dell’Ottocento e dei primi del Novecento a opere, tra l’altro, di Edgar Lee Masters, Henry James, Edith Wharton, e quattro volumi con Castelvecchi: una raccolta di lettere dal Sudamerica di Stefan e Lotte Zweig e tre romanzi di Klaus Mann (Mephisto e due altri suoi romanzi mai pubblicati prima in italiano).

Ha delle preferenze sui testi da tradurre?

Direi di no; ogni volta che mi confronto con un testo nuovo, dopo una iniziale fase di acclimatamento, prevale in me il piacere di ricreare al meglio “la voce” dell’autore.

Orazio sosteneva che “Da bravo traduttore dovrai avere cura di non tradurre parola per parola.” Qual è la difficoltà maggiore di fare il suo lavoro?

Compito del traduttore è quello di esercitare una sorta di mediazione culturale, con tutte le difficoltà che questo comporta. Il passaggio da una struttura morfo-sintattica a un’altra e dal campo semantico di una lingua a quello di un’altra non è mai indolore; a volte la scelta di una sola parola può alterare radicalmente il significato della frase. Occorre quindi “negoziare” con il testo, cercando di ottenere il risultato che si ritiene più vicino a quello che intendeva l’autore. Tradurre significa interpretare; in questo senso, solo la rinuncia al sogno della “traduzione perfetta” consente di fare questo lavoro.

Qual è il suo approccio a un testo letterario?

Prima di tutto, mi sforzo di comprendere il testo in ogni sua sfumatura. Un traduttore non può lavorare su qualcosa che non gli riesca chiaro, e a tal scopo è necessario calarsi non solo nella particolare poetica dell’autore ma anche nelle peculiarità dell’epoca in cui l’opera è stata scritta. Si pensi alla distanza culturale che ci separa da un romanzo del ’700 o dell’800, che va ad aggiungersi alle difficoltà propriamente linguistiche, e alla necessità di adottare un registro stilistico coerente.

C’è un libro che sogna di tradurre?

Dato che, per riprendere la nota definizione di Calvino, “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, mi piacerebbe confrontarmi con uno dei grandi capolavori della letteratura mondiale.

L’avvento dell’Intelligenza Artificiale è accolta come un grande progresso della nostra società. Secondo lei, può modificare o minare il lavoro dei traduttori?

Non so, penso che l’intelligenza artificiale potrà forse agevolare in futuro il lavoro del traduttore, ma non credo che sarà mai in grado di sostituirsi alla sensibilità dell’essere umano nella sua capacità di interpretare il non scritto, di vedere al di là della successione delle parole ciò che intendeva esprimere l’autore

Qual è il prossimo progetto che porterà la sua firma?

Di fatto, più di uno. A breve per Elliot uscirà La mia vita con George. Ricordo di una gazza di Frieda Hughes, la figlia di Ted Hughes e Sylvia Plath, una rievocazione tenera e divertita dell’esperienza con un piccolo di gazza caduto dal nido che è quasi un paradigma a cui possiamo ricondurre ogni nostro rapporto: conoscersi, amarsi, prendersi cura dell’altro ma anche saper “lasciare andare”. Sempre per Elliot verrà a breve pubblicato L’uomo che gridò io sono dello scrittore afroamericano John A. Williams, una sorta di thriller letterario del 1967 sul razzismo endemico nella società statunitense. Uscirà anche un’opera davvero particolare, di cui ho tradotto i paratesti, l’Erbario che Rosa Luxemburg compose in carcere. Castelvecchi pubblicherà Speed. I racconti dell’esilio, che raggruppa tutti i racconti che Klaus Mann scrisse tra il 1933 e il 1943.
A breve consegnerò a Elliot l’ultimo romanzo di una giovane scrittrice franco-coreana, la mia prima traduzione dal francese.
Infine, sono già in corso altri lavori dal tedesco.

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