La condizione di anonimato dei poeti

Editoriale

Dicembre 2, 2024

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I paradossi della fama in Italia

Un tempo, per evitare la notorietà o per non vedere intaccata la propria rispettabilità, alcuni poeti o scrittori usavano lo pseudonimo. Oggi, il cosiddetto “nome d’arte” non è più necessario, perché, esclusi pochissimi casi come quello di Elena Ferrante, scrittori e poeti, anche riconosciuti e stimati, si trovano a vivere volenti o più che altro nolenti, per tutta la vita, una condizione di anonimato. Un tempo esistevano gli artisti schivi, riservati, addirittura ieratici, veri e propri narcisisti della negazione, che non volevano apparire, come Landolfi e Salinger. Oggi questo tipo di problema non si pone più per il 99% dei casi. Tutto ciò si vede dal fatto che non esiste un gossip poetico ma solo il gossip dei vip e i poeti, oggi, se non ce ne fossimo accorti, non sono vip: non ne hanno la visibilità, i guadagni e i privilegi. Poeti come Milo De Angelis, Maurizio Cucchi, Giuseppe Conte, Patrizia Valduga e altri, possono tranquillamente stare in mezzo alla gente senza essere riconosciuti e fermati. Nessuno chiede loro l’autografo. Pochissimi sanno chi sono e i pochi che lo sanno li guardano incuriositi e li considerano dei tipi strani: “Poeta? Perché tu mi dici: poeta?”. In fondo, come si ripete spesso nella comunità letteraria, se intervistassimo le persone e chiedessimo loro i nomi di cinque poeti italiani viventi, la stragrande maggioranza non saprebbe rispondere. Invece, la gente fa carte false per farsi un selfie con showgirl e vip del piccolo schermo. Addirittura basta qualche passaggio televisivo alla trasmissione Uomini e donne di Maria De Filippi per diventare famosi, avere ammiratori o ammiratrici. E i poeti e le poetesse? Se va bene, e cioè pubblicano con una grande casa editrice, saranno noti ad una nicchia di persone, ovvero gli addetti ai lavori e gli aspiranti poeti, alla fine gli unici, veri amanti della poesia. Se va male, e questo succede ai più, saranno letti e saranno noti alla loro bolla sui social e su qualche blog o rivista online.

Tuttavia, lo stesso Calvino, in tempi non sospetti, indicava nell’anonimato la condizione esistenziale per creare per uno scrittore o un poeta, quindi non c’è da disperarsi. Una volta, il poeta Lello Voce scrisse riguardo alla marginalità della poesia contemporanea in Italia: “Ma che vi aspettavate? Di diventare famosi come le rockstar?”. Questa è la situazione, prendere o lasciare, la massa vuole altro, non la poesia contemporanea, e preferisce passare il proprio tempo libero in altri modo.

In definitiva, molti poeti e scrittori amano dire a proposito: “Meglio pochi ma buoni”. Ma ne siamo davvero sicuri? E come uscire, se c’è modo, da questa situazione di impasse? O forse è meglio salvaguardare la poesia vera dalle masse? Insomma, i poeti e le poetesse non avranno mai le luci della ribalta. Per i più giovani che scrivono poesie: la strada è irta, in salita e in solitaria; anche l’illusione data da un piccolo riconoscimento, un piccolo consenso critico, un premio locale con quota di partecipazione o tassa di lettura può costituire un rischio. Nelle trasmissioni popolari della TV generalista, quelle che danno visibilità, i poeti non vengono invitati. Le rubriche di poesia dei quotidiani sono addirittura scomparse, perché interessano pochissimi. In questa civiltà dell’immagine, consumistica, turbocapitalista e mediatica, la poesia ha uno spazio sempre più risicato, sempre più risibile. Questo descritto non è il frutto di un pessimismo catastrofico, né di una rassegnazione personale ma la pura e semplice constatazione di fatto. Basta leggere attentamente il discorso di Montale per il Nobel: lui queste cose le aveva già intuite, aveva visto giusto e lontano e tutto si è avverato.

Ma adesso, come uscirne? È ancora possibile farlo?

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