Come le tartarughe un film di Monica Dugo

Editoriale

Settembre 30, 2023

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La vita in un armadio e la scoperta di se stessi

Con Come le tartarughe, Monica Dugo affronta temi che vanno dall’abbandono, al passaggio all’età adulta, alla ricostruzione di se stessi. Il mondo chiuso nella superficie interna di un armadio. Una realtà a sé stante quando tutto sembra sgretolarsi quando le certezze che si trasformano in incertezze e promesse non mantenute.

Lisa (Monica Dugo), abbandonata dal marito, trova rifugio in quell’armadio da lui lasciato vuoto. La sua realtà crolla. Da moglie e madre non riconosce più se stessa. E l’armadio è cornice bidimensionale in cui Lisa si muove.

Tridimensionale come un rifugio dove trattenere la rabbia per non lasciarla esplodere.

Quadridimensionale nello sfondare la quarta parete come in una pièce teatrale, dove il pubblico è chi tenta di interagire e riportare Lisa alla realtà per poi però riconoscersi in essa quando osservano il mondo dalla sua prospettiva.

E la quinta dimensione è quella del tempo, dei ricordi, sogni e desideri. Di vuoti che devono essere colmati, o lasciati tali. Perché il dolore non sempre si può spiegare, ma ha bisogno di trovare la propria risoluzione in se stesso.

Oltre le ante ci sono Sveva e Paolo. La prima si trova a dover fronteggiare l’assenza dei genitori che la costringe a farsi carico di se stessa e del fratello oltre che di sua madre capovolgendo i ruoli. I tentativi di una reazione sono spesso burrascosi, ma nascondono la richiesta di essere ascoltati. Un rapporto genitori/figli fatto di spazi, condivisione e confini. Limiti necessari per trovare la propria strada. Sveva deve affrontare l’adolescenza, capire chi è e chi vuole diventare. Si scopre fragile. Vuole crescere, ma non così presto.

Il film insegna che nulla è eterno, e che anche se le cose  possono rompersi non è sempre un male. Liberarci di ciò che ci fa soffrire può essere la via per riscoprire noi stessi. E le cicatrici possono essere preziose perché sono il segno che abbiamo vinto la nostra battaglia.Dobbiamo apprezzare il passato, perché è parte di ciò che siamo, ma non fossilizzarci in esso.

È da apprezzare l’originalità di far riflettere con leggerezza. Come direbbe la regista, la pellicola fa sorridere, sì, ma con un buco in petto. Il cast è abile nel lasciar fluire le emozioni fino allo spettatore che empatizza con i personaggi e si rivede di volta in volta in Sveva o in Lisa.

Il film parla di donne che sono forti, sì, ma sono donne del quotidiano. Nella loro fragilità fanno valere le loro posizioni. La femminilità, in un modo che difficilmente viene raccontata. Senza far rumore, ma perenne e costante.

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