Il rito della serenata

Editoriale

Gennaio 27, 2024

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Origini e curiosità della storica tradizione musicale

Una volta sentii dire da un anziano musicista: “La serenata si fa solo di sera e a ciel sereno! Lo dice la parola stessa! Se c’è il sole o se piove… lascia perdere: è praticamente impossibile riuscire a creare la stessa magia!”

Prima che il giradischi, la radio e la televisione entrassero a far parte della nostra vita, le notti erano quiete anche nei vicoli più rumorosi e popolosi della nostra città, ma bastava che un giovanotto intonasse una melodia per dichiarare i propri sentimenti a una fanciulla… che tutto il vicinato si affacciasse e partecipasse a quel romanticissimo e inaspettato spettacolo.

Ma non sempre la serenata si svolgeva in un modo così “intimo”, il più delle volte non era per niente una cosa privata, ma un vero e proprio evento pubblico! Chissà, forse potrebbe anche darsi che sia nata come geniale “trovata” per comunicare ufficialmente alla comunità il fidanzamento tra i due giovani. Ma andiamo per gradi.

Fino a qualche decennio fa, non solo a Napoli ma in tutta la regione, c’era ancora l’usanza di “portare” la serenata all’innamorata, non solo come semplice gesto d’amore, ma proprio come parte integrante di tutto il periodo di fidanzamento.

Ovviamente veniva eseguita con il permesso dei genitori della ragazza, di solito il sabato sera, dopo una settimana di dieta a base di cipolla (uno dei vari rimedi contadini atti a fortificare la voce), con l’accompagnamento di una piccola orchestrina (il cosiddetto cuncertino), del relativo direttore d’orchestra (‘o capo cuncertino) e spesso anche di un poeta che suggeriva al ragazzo le parole giuste da dire.

Non si sa dove, quando e a chi sia venuta per prima l’idea di destare la propria bella dal sonno tramite suoni e/o dolci versi d’amore… ma a Napoli si sa che era già in uso nel medioevo. Basti pensare che, nel 1221, il re Federico II di Svevia emanò un’assisa contro i musici, affinché le loro esibizioni notturne fossero meno frequenti e soprattutto meno rumorose.

Il rito della serenata era così strutturato. Già da lontano la brigata annunciava il suo arrivo con un motivetto allegro, tipo marcetta. Una volta sotto la finestra l’innamorato intonava un canto detto d’arrivata, con il quale salutava tutti coloro che avrebbero assistito alla performance. Quindi cantava la serenata vera e propria, tramite cui, al cospetto della comunità, comunicava alla ragazza il proprio amore e le giurava eterna fedeltà. A questa seguiva un altro canto detto di partenza, con il quale la salutava, talvolta fingendo di partire per andar lontano. Infatti, tale “partenza” era poi rappresentata in un modo alquanto teatrale: l’intero gruppo si allontanava di una decina di metri per poi fermarsi e permettere al cantante di intonare uno stornello di saluto alla fanciulla; quindi ripartiva e, dopo un’altra decina di metri, il giovane ne eseguiva un altro per salutare tutti gli spettatori; infine l’orchestrina si allontanava definitivamente intonando la stessa marcetta con la quale era arrivata.

A volte poteva accadere un cosa alquanto bizzarra. Se, a causa di screzi o di incomprensioni, lei si tirava indietro e chiudeva il fidanzamento… lui, sia da solo che accompagnato dal cuncertino, poteva presentarsi sotto la stessa finestra e farle una serenata a dispietto (detta anche guasconata), tramite cui spavaldamente comunicare pubblicamente la sua versione dei fatti. Praticamente era un modo come un altro per “salvare la faccia” oltre che per dimostrare a tutti che l’essere stato lasciato non gli aveva procurato alcuna sofferenza.

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