Light on
Milad, cinque anni, è emozionatissimo: zaino in spalla non vede l’ora di partecipare alla prima gita di classe della sua vita verso un parco a nord di Gerusalemme. Quando Milad saluta la mamma, suo padre Abed sta ancora dormendo. Qualche ora più tardi Abed Salama inizia la giornata con la notizia di una strada bloccata e di un incidente «con alto numero di vittime». Raggiunge trafelato il luogo dell’impatto dove lo accoglie una bolgia infernale: un gigantesco tir rovesciato, uno scuolabus in fiamme, dei corpi a terra. Milad non si trova. Inizia per Abed una corsa angosciante fra ostacoli fisici, burocratici, emotivi, dovuti alla sua condizione di palestinese. I suoi documenti non gli consentono di superare i checkpoint dei militari, di entrare a Gerusalemme, di conoscere la sorte di suo figlio. La ricerca disperata di Abed incrocia il cammino di altre persone, con le loro storie che convergono su quell’inferno. In questo libro non ci troviamo in un’opera di finzione, ma nel quotidiano di chi vive nella terra più contesa del pianeta e cerca di mantenere intatta la propria umanità. Ne usciremo più acutamente, e nuovamente, consapevoli.
Jaba Road fu progettata per ridurre i tempi di percorrenza, dare sicurezza, ma quando Israele costruì nuove circonvallazioni, finì per essere utilizzata principalmente dai palestinesi. L’arteria principale intorno a Gerusalemme per le duecentomila persone che non vi potevano entrare, divenne nota come «strada della morte».
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