Experience-movie vs Cinecomics: Un possibile dualismo?

Aprile 9, 2024

Dopo lo spettro di una crisi senza fine, il mercato cinematografico guarda al futuro

La vittoria agli Oscar dello scorso 10 marzo di Oppenheimer di Christopher Nolan, per l’opinione pubblica sembra un dato scontato, quasi oggettivamente meritato, atteso, considerato il livello estetico-contenutistico dell’opera, il blasone di un cineasta oramai in auge da più di un decennio, e il tema fortemente contestualizzato nella situazione geopolitica mondiale (v. le situazioni incrinate sia nell’est Europa, sia in Medio Oriente).

Eppure, per chi mastica cinema, o per chi ne è ossessionato – riecheggiando un detto di François Truffaut – sia per lavoro, sia per passione, la vittoria del biopic sul padre della bomba atomica è un evento che va analizzato con la lente d’ingrandimento.

Perché improvvisamente non è che l’Academy si sia dimenticata del politically correct, del film-slogan (che quest’anno sarebbe potuto essere il Barbie di Greta Gerwig o il Killers of the flower moon di Martin Scorsese, quest’ultimo in virtù della paranoia di buona parte dei cittadini americani per le prossime elezioni presidenziali), o del film di matrice extra-comunitaria, fra tutti quello orientale.

Quindi perché premiare Oppenheimer con ben 7 statuette? Esso non è il classico prodotto autoriale, o valvola di sfogo delle doti di un regista oculato e maniacale nel suo lavoro, oppure il virtuosismo su di un preciso genere. Oppenheimer è un’opera d’arte che intreccia sperimentazione artistica con successo al box-office e plauso del grande pubblico, un risultato che nell’ultimo decennio è riuscito ben poco ai prodotti cinematografici.

Perché in primis la pandemia da Covid-19 sta indirettamente incentivando, anche nel post-emergenza, un continuo allontanamento dalla sala, per una visione pressoché casalinga delle opere audiovisive. Poi perché il prodotto autoriale, la grande storia, il racconto epico, nella società odierna non rende molto in termini di botteghino, dato che sia le serie televisive, sia l’utilizzo spasmodico dei social network, hanno abituato le persone ad un contatto da ritmi frenetici, leggeri e dinamici con la tecnologia e le arti in generale.

Nonostante ciò, titoli come Oppenheimer creano una ricetta-sintesi per insediarsi sia nel mercato cinematografico, sia nell’immaginario collettivo: attraverso un’ottima comunicazione sui social, con tendenze, meme, pubblicità occulte proprio come i prodotti opposti; attraverso l’esasperazione del concetto di esperienza, ossia di visione possibile solo grazie alla sala, al grande schermo, alla tecnologia IMAX, sapientemente al servizio del prodotto fungendo da potente sistema di proiezione per un dominio dei colori, del sonoro e dell’estetica.

Si può parlare di un nuovo genere? Di una sorta di film drama-esperienza? Cosa non inedita l’esperienza, perché il cinema lo è stato da sempre, soprattutto nel secolo scorso. In tal caso è esperienza rinnovata, grazie al marketing, al comfort, alle nuove tecnologie non puramente basate sul paese dei balocchi caratterizzato dal 3D o dalla pellicola ultra-digitalizzata, ma su di un tipo di proiezione che rende ancora più verosimile il surreale, la fiction.

Oppenheimer così come l’attuale Dune: Part Two o Top Gun: Maverick oppure come lo sarà a breve il nuovo capitolo della saga di Mad Max, sono momenti-esperienze, drama dal grande risalto visivo e narrativo, sono sintesi nell’arte sintetica, racchiudono la spettacolarizzazione degli attori-star, l’imponenza della macchina, le scelte e le intuizioni delle menti più brillanti del panorama artistico.

Molti sociologi parlerebbero di ritorno al modernismo, ossia di una razionalizzazione della contemporaneità, che si stava estremizzando così tanto da far implodere un’intera arte, in favore di un mercato affascinante, ma poco congeniale nel lungo termine. Per molti addetti ai lavori, ma anche per alcuni registi principalmente della vecchia guardia, il citato paradigma è direttamente collegabile ai famigerati Cinecomics.

I Cinecomics nascono come antitesi al dramma esistenzialista, quindi a film prettamente basati sulla psicoanalisi, sui rapporti introspettivi e interpersonali, e/o ai thriller (altro genere tornato in auge), e come esigenza di rendere reali e contemporanei tradizionali eroi dei fumetti. La Marvel più che la DC ha creato un mercato milionario, una strategia di produzione ai limiti della perfezione, grazie alla scelta di attori-icona per determinati ruoli, alla solidità dei soggetti e delle storie sui personaggi, e grazie ad un massiccio apparato produttivo dove il cinema come spettacolo da moto perpetuo, quasi da action-trash, ne faccia da padrone (un mix intelligentissimo dei canoni soprattutto di Tik Tok e di Youtube).

Con la fine della prima fase quasi da monopolio, l’arrivo della pandemia ma non solo, hanno accelerato un processo di trasversalità del prodotto, volto a farlo smuovere tra i vari media. Il concetto di per sé non è errato, anzi segue le logiche odierne, caratterizzate – come direbbero gli accademici – da una cosiddetta epoca trans-mediale.

La nuova vision della Marvel infatti, è basata ora su un’alternanza della story-line tra cinema e on demand, costringendo l’utente a districarsi al meglio per seguire le sorti dei suoi beniamini, tanto sul letto di casa, quanto sulla poltrona in sala.

Spettacolo

Spettacolo

Tuttavia, molti stanno avendo il sentore di criticità per questo tipo di prodotti, sia per una questione contenutistica (il livello delle storie è notevolmente sceso), sia per una questione pratica (seguire prodotti su più fronti non è sempre possibile soprattutto per il pubblico medio, in termini di tempistiche ed in costi), sia per una questione culturale (il pubblico sta tornando ad essere più selettivo in merito a come spende i soldi per la sfera personale).

Tutto ciò ha portato ad una fisiologica – seppur ufficiosa – normalizzazione del prodotto fumettistico nel cinema, tranne che con rare e piacevoli eccezioni (v. i sequel inerenti a Spiderman, Doctor Strange ed in parte Guardiani della galassia), e ancora più scandalizzante ad un ridimensionamento del prodotto seriale collegato a tale mondo, a causa del repentino incremento della fruizione di crime-story, documentari sul gossip o su personaggi iconici, e di mini-serie.

Lo scontro giornalistico tra chi ritiene che i Cinecomics dopo anni di trionfi siano soltanto un’accozzaglia di immagine digitale, di gag poco studiate e di registi-tecnici dalle risicate idee creative; e tra chi, viene ritenuto ormai come icona del passato, come lavoratore vicino alla pensione, è iniziato da tempo in maniera feroce. Se sarà soltanto una discussione da bar o un vero e proprio scontro da location istituzionale lo dirà il tempo, lo dirà lo sviluppo del mercato, oggi con l’aura di una nuova giovinezza, dopo la paranoia di una crisi irreversibile.

Il tempo dirà anche – ed è un dilemma di questo excursus  – se esiste oggi o se esisterà nel prossimo periodo un dualismo tra i Cinecomics e questi drama-esperienza (con il rinnovato thriller che guarda dallo spioncino), i quali potrebbero essere considerati anche come un vero e proprio nuovo genere, o come un genere rinnovato. Un’altra sperimentazione tra autori e produzioni, così come fu a grandi linee con la New Hollywood negli Anni ’70. Tuttavia, quest’ultima avviò (anche) un rinnovamento tout court sui macro-generi classici.

Non tutti i mali vengono per nuocere. Nonostante i termini faida, dualismo, diatriba o qualsiasi altro sinonimo, siano concetti dall’accezione negativa, in tal caso uno scisma interno al cinema può portare nuova vitalità, fiorente ricerca in un’epoca caratterizzata su più fronti dalla saturazione, dalla standardizzazione, dalla ripetitività e dall’emulazione. Quindi pur essendo uno scontro di mercato e/o ideologico, bisogna da figure esterne paradossalmente augurarselo, quasi goderselo come un altro e coinvolgente capitolo di un romanzo nel quale non si vorrebbe mai arrivare all’epilogo.

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