I cantastorie a Napoli

Aprile 9, 2024

Dagli antichi aedi ai moderni artisti di strada

L’aedo, il poeta/cantore dell’antica Grecia, potrebbe essere considerato come l’antesignano dei nostri cantastorie. Gli storici lo descrivono quasi come una figura sacra, un profeta, un prescelto dalle Muse per parlare agli uomini attraverso le sue labbra. Viveva presso le corti aristocratiche dove, accompagnandosi con la cetra, componeva e intonava i canti epici della comunità, che poi entravano a far parte della tradizione greca.
Qualche secolo dopo fece capolino la figura del rapsodo (cucitore di canti) che, oltre a eseguire i brani del repertorio dell’aedo (appunto “cucendoli” di volta in volta per adattarli alle diverse occasioni), si esibiva anche nelle piazze, nelle fiere e nelle gare poetico/canore.
Dal rapsodo nacquero due “figli” (successivamente denominati cantastorie e contastorie): il primo continuava ad esibirsi cantando, accompagnandosi con la lira, il secondo lo faceva contando, cioè raccontando, spesso scandendo il ritmo con un bastone. Molto tempo dopo nacque l’uso di presentare le varie storie avvalendosi di un cartellone illustrato.
Dal V sec. a. C. entrambi divennero erranti e portarono le loro esibizioni ovunque si parlasse greco, quindi anche a Napoli. E con loro arrivarono anche le gare canore che, continuando nella grotta di Pozzuoli, gettarono le basi per il festival di Piedigrotta e per tutti i futuri festival moderni, compreso quello di Sanremo.
Riguardo al periodo romano non ci sono pervenute informazioni dettagliate. Certamente si sa che si scrivevano carmina (canzoni) per ogni occasione (banchetti, cerimonie, riti religiosi, funerali, ecc.), ma che fossero intonati anche da artisti girovaghi… mah!?
All’inizio del II millennio giunsero in Italia i troubadour provenzali, che con le loro cansons cantavano l’amor cortese. I nostri artisti ne attinsero a piene mani, dando così origine non solo alla canzone, ma anche al cantare e al sonetto, che divennero i metri poetici più utilizzati per le loro storie.
Di lì a poco avvenne un’altra suddivisione: alcuni presero “il posto fisso” divenendo menestrelli presso le varie corti, mentre altri (detti giullari) continuarono a vagabondare esibendosi ovunque fossero richiesti. E poiché cantavano, suonavano, recitavano e facevano i saltimbanchi… sono da molti considerati come i progenitori degli attuali artisti di strada.
Nel 1569 i cantori girovaghi napoletani si riunirono in una corporazione con sede nei pressi della Chiesa di San Nicola alla Carità. Associazione che provvedeva, oltre all’assistenza in caso di malattia e alla sepoltura in caso di decesso, anche alla difesa dell’occupazione, al decoro della categoria e a concedere premi di nuzialità.
Essendo da poco nata la stampa… ovviamente se ne avvalsero per pubblicare le loro storie su foglietti volanti (in seguito definiti copielle) e venderli durante le proprie esibizioni. E poiché molte di queste narravano fatti di cronaca (ingiustizie, delitti, miracoli, ecc.) potremmo considerarli come gli antesignani dei moderni giornalisti.
Fino alla fine del 1800 le strade e le piazze della nostra città pullulavano di cantastorie, ma poi nacque la canzone classica napoletana, i gusti del pubblico cambiarono drasticamente e… la loro presenza si ridusse fino a scomparire del tutto.
E fu così che le tante avvincenti storie che avevano emozionato i nostri avi finirono per cadere irrimediabilmente nel totale dimenticatoio: Gano ‘e Maganza, i Paladini di Francia, La morte di Marzia Basile, e tante altre.
Oggigiorno è raro assistere a spettacoli di cantastorie, se non in rassegne di teatro di strada. Che peccato!

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