Rosaria: il riscatto degli “Esclusi” al Teatro Elicantropo di Napoli

Aprile 9, 2024

Dall’8 all’11 febbraio 2024 ha debuttato con enorme successo, al Teatro Elicantropo di Napoli, lo spettacolo “Rosaria”, di Davide Iodice, che firma adattamento, elementi scenici, luci e regia, mentre la drammaturgia e i disegni sono creazione di Benito Martino.
Prodotto dalla Scuola Elementare del Teatro, vede protagoniste in scena la talentuosa attrice Monica Palomby (già vista anche in tv nelle serie “Mare Fuori” e “La vita bugiarda degli adulti”) e la danzatrice, coreografa ed insegnante Chiara Alborino (che ha invece curato le coreografie della fortunata serie “L’amica geniale” ).

Le musiche, invece, sono la sapiente opera di Lino Cannavacciuolo, celebre violinista puteolano che ha collaborato in teatro con Peppe Barra, Luca de Filippo e Roberto de Simone, vantando altre numerose collaborazioni importanti nel panorama musicale italiano. Le foto di scena sono di Alessandro Scarano.

“Rosaria” è il primo capitolo di un’antologia scenica in divenire, dal titolo “Esclusi”, frutto delle ricerche drammaturgiche di giovani autrici e autori nell’ambito del ciclo “Officina” della “Scuola Elementare del Teatro- Conservatorio Popolare per le Arti della Scena, ideato e diretto dallo stesso Iodice.
Questo primo “volume scenico” è ispirato e dedicato alla figura di Rosaria, alcolista e senza fissa dimora, demone e cattiva coscienza dei decumani napoletani, morta senza cordoglio. Scomparsa ormai da tempo, a soli 46 anni, viveva per strada, nella zona Tribunali. Non ha ricevuto la dignità di un funerale partecipato e non è nota la sua sistemazione ultima.

La città l’ha conosciuta intenta ad importunare le donne (“Te pozzo fa ‘na maniata ‘e zizze?” chiede sorridendo la Rosaria/Palomby a metà strada tra il sornione e l’inquietante) o a chiedere sigarette.

Chiedeva anche denaro, per potersi procurare l’alcool: il vizio che forse più di tutti l’ha portata al suo lento, ma precoce, spegnimento.

In pieno stile “teatro povero” di Jerzy Grotowski, è bastato un semplice cartone in scena. Quello dove Rosaria dormiva, nell’umidità di un pozzo (riprodotto grazie al rumore delle gocce di umidità che scendono e al disegno di Iodice al centro del pavimento).
Lo stesso cartone, però, si trasformava nel letto dove, da bambina, il fratello la molestava. In un momento successivo, si trasformava in una donna con cui danzare, ed è diventato persino uno schermo dove Rosaria mostra le vite e le storie degli altri senzatetto come lei, con i disegni di Benito Martino proiettati sopra, a mo’ di televisore.

locandina rosariaNessun altro particolare oggetto di scena, se non il cartone di Tavernello a cui Rosaria si attacca per bere.

La Palomby è riuscita a passare da un cambio di registro all’altro in maniera eccelsa: sembrava bambina e adulta, indifesa e potente, nello stesso tempo. Così forte, eppure così fragile. Più “fragile” della scritta stessa sul cartone, temevi potesse spezzarsi da un momento all’altro. A chiunque, in platea, è venuta la voglia di scendere dagli spalti e di correre sul palco ad abbracciarla.

Una bravura attoriale straziante, magistralmente diretta dall’inizio alla fine dello spettacolo: da quando rincorre i gabbiani chiedendo di portarla via con loro, fin quando non urla “Io una casa ce l’ho, che vi credete?” con tutta la rabbia di una donna non amata, non compresa, cacciata fuori di casa perché lesbica. (“Il figlio malato non fa niente, basta che ci piace la fessa”)

Una donna istruita, laureata, che sapeva parlare molte lingue… e questo fa riflettere: chiunque può improvvisamente ritrovarsi in mezzo ad una strada, abbandonato a se stesso, escluso, per l’appunto.

E, infine, la catarsi, il colpo di grazia agli spettatori: sulle note di Cannavacciuolo e il canto dei gabbiani, Chiara Alborino ha regalato una coreografia stupenda, nel momento della morte di Rosaria. Lei danzava, ed era uno splendido ed elegante gabbiano. Lei danzava, e Rosaria stessa diveniva un gabbiano.

Lei danzava, e i gabbiani se la sono portata via con lei, per volare insieme… finalmente liberi.

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