Il fallimento: la chimera dell’ultimo secolo secondo Pépin

Aprile 11, 2024

Il filosofo francese sovverte i punti di vista e spiega perché la sconfitta ci rende liberi

“Nel regno del fallimento si nascondono tesori nascosti”. Quella di Pépin è una prospettiva importante, a mio avviso essenziale, sul concetto di fallimento e sull’impatto che esso ha avuto, ha e potrà ancora avere sulla nostra crescita e sullo sviluppo presente e futuro.
“Troppo spesso vediamo il fallimento come una porta che si chiude. E se fosse anche una finestra che si apre?”

Prendiamo in considerazione l’etimologia della parola “crisi” che deriva dal verbo greco κρίνειν (krìnein), ovvero “separare”.
In origine era utilizzato in campo agricolo con riferimento al momento conclusivo della raccolta del grano, quando la granella del frumento veniva separata dalla paglia e dalla pula. In senso lato, possiamo vedere la crisi come il momento nel quale due elementi si separano per dare origine a un’apertura, “uno spazio in cui diventa possibile leggere qualcosa”.
Ecco che la crisi diventa ciò che i greci indicavano con il termine καιρός (kairòs), “quel momento in cui la realtà appare ai nostri occhi in maniera inedita…
Affermare che la crisi è un “kairòs” significa farne un’occasione per comprendere ciò che era nascosto, “per cogliere ciò che non era visibile”.
Un momento nel quale si genera valore. È fondamentalmente, dunque, imparare a gestire le proprie certezze per poter osare.
“All’origine di ogni successo vi è una componente di rischio, e ci si apre alla possibilità di non riuscire.” Osare significa in primo luogo osare il fallimento. Ogni artista, nel momento di tentare qualcosa di nuovo, accetta la possibilità di non farcela. La bellezza del suo gesto sta in questo. È possibile vivere l’intera esistenza senza mai osare, compiendo soltanto scelte “ragionevoli”, entrando in azione solo quando tutte le celle del nostro foglio Excel sono correttamente riempite.
Ma a quale prezzo?
Comportarsi in questo modo significa vietarsi ogni riuscita di grande respiro e perdere l’occasione di conoscersi in profondità. Anche quando la nostra audacia non è coronata da successo, abbiamo comunque dimostrato a noi stessi di avere il senso del rischio, di essere capaci di vere decisioni e non soltanto di scelte dettate dalla logica delle certezze banali e ormai scontate.
Se non si rischiasse mai nella vita, probabilmente Michelangelo avrebbe dipinto la Cappella Sistina sul pavimento e nessuno avrebbe potuto rivolgere lo sguardo al cielo…
Chissà, forse rischiare significa sacrificare un po’ se stessi proprio per permettere alle persone di rivolgere lo sguardo al cielo e invitarli a creare un mondo migliore restando con i piedi ben piantati su questa terra.
Attraverso una serie di esempi Pépin dimostra quanto il fallimento è stato per tantissimi grandi della storia un elemento fondamentale del percorso verso il raggiungimento dei propri obiettivi.

Sarebbe dunque importante ricominciare a vivere, in maniera serena, una sana “cultura dell’errore”, perché, in fondo, a trasformare un errore in un “doloroso fallimento” è soltanto il fatto di viverlo male.
Allo stesso tempo è essenziale che questo modo di vivere l’errore non sia però una giustificazione a porsi dei limiti, ma una spinta ulteriore a migliorarsi e crescere.

“Errare è umano, …”: l’errore è la maniera umana, propriamente umana, di imparare, purché non ci si chiuda nell’ignoranza “diabolica” commettendolo una seconda volta.

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